Bioingegneria vello: la perdita delle connessioni neuronali estrinseche fa sì che i tessuti isolati, di fatto, cessino di esibire la loro normale attività spontanea (il nostro cervello manifesta sempre attività elettrica). Generalmente lo spessore massimo è di 500 μm per consentire la distribuzione delle sostanze in soluzione per diffusione. Fettine più spesse possono essere mantenute in vita solo per poche ore (fettine acute). Quelli più sottili possono essere coltivati per periodi più lunghi e sono generalmente indicati come fettine “organotipiche”. In ottica di progettare brain-on-a-chip, questi due substrati biologici non consentono tuttavia l’ingegnerizzazione dei circuiti neuronali [68]. Il terzo modello biologico supera questo limite. È costituito da neuroni cerebrali dissociati tipicamente estratti da ratti o topi embrionali e/o postnatali o (più recentemente) da hiPSC differenziate in neuroni e coltivati direttamente sul chip. Il grande vantaggio è la possibilità di controllare neuroni e sinapsi (mantenendo la complessità della loro citologia) e piastrare su superfici (chip) funzionalizzate per ricreare reti complesse. Anche la controparte tecnologica gioca un ruolo cruciale. I dispositivi devono garantire un ambiente biocompatibile per eseguire registrazioni a lungo termine dell’attività elettrofisiologica originata dalle interazioni dei neuroni, nonché la possibilità di trasmettere impulsi elettrici (stimoli esterni) per modulare e interagire con il tessuto biologico. A tal fine, i Multi-Electrode Array (MEA) sono uno strumento molto utilizzato. Il primo MEA è stato introdotto nel 1972 da Thomas e collaboratori [69]. Consisteva di 30 microelettrodi d’oro incorporati su un substrato di vetro (Figura 5a). Da quel lavoro, sono stati ottenuti grandi miglioramenti in 50 anni tecnologico (Figura 5b). Per le applicazioni brain-on-achip, il MEA ideale dovrebbe consentire la registrazione di estese popolazioni di neuroni da svariati siti di registrazione (migliaia, Figura 5c), avere elettrodi con altezze diverse per potere registrare l’attività nello spazio tridimensionali (Figura 5d), essenziale quando il modello biologico si sviluppa lungo le tre dimensioni come nel caso degli organoidi. Allo stesso tempo, gli elettrodi dovrebbero permettere la stimolazione elettrica per potere interagire con il modello di cervello in vitro (interfacce bi-direzionali). Alla luce delle componenti biologiche e tecnologiche, sopra descritte, lo stato dell’arte sulle tematiche brain-on-a-chip vede l’interesse a ricreare in vitro su chip le interazioni tra diverse regioni cerebrali anche per riprodurre condizioni fisiologiche e patologiche. Il cervello è formato da svariati distretti anatomici (ad es., neocorteccia, ippocampo, cervelletto, talamo, ecc.) che interagiscono mutuamente. Nel 2011 Peyrin e colleghi hanno utilizzato un sistema dotato di micro-fluidica con micro-canali asimmetrici per maggio/giugno 2022 27 Figura 5 Esempi di Multi-Electrode Array (MEA). a primo MEA realizzato con 30 microelettrodi d’oro[69]; b MEA con 60 elettrodi (prodotto dalla ditta tedesca Multi Channel Systems) di cui è riportata l’immagine dei neuroni e degli elettrodi in contrasto di fase e un tracciato dell’attività elettrofisiologica registrata. c MEA ad alta densità, in cui sono presenti 4096 elettrodi (3Brain, Svizzera). d Prototipo di MEA tridimensionale per poter registrare l’attività elettrofisiologica di reti tridimensionali[70] † a b c d
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